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28/09/2020

La ripresa c’è, ma è a macchia di leopardo

Attraverso un continuo confronto con gli associati e la messa a punto di strumenti come il Catalogo Tecnico, che dovrebbe essere disponibile già nei prossimi mesi, Udib punta a valorizzare la specializzazione e la competenza delle aziende associate e a individuare le sinergie atte a consentire al settore di reagire all’impatto del Covid. Intervista al presidente GianMarco Dalpane

Nonostante la ripresa sia innegabile per quanto a macchia di leopardo, le aziende che operano nella distribuzione dei fasteners continuano a confrontarsi con importanti cali di fatturato che, in parte, sono anche determinati dal fatto che il lockdown le ha fortemente penalizzate sui mercati internazionali. GianMarco Dalpane, presidente Udib - Unione Distributori Italiani Bulloneria e vicepresidente EFDA - European Fastener Distribution Association tiene però a sottolineare che, dopo 10 anni di crescita costante, alcune rettifiche sono forse più legate all’andamento ciclico del mercato che al Covid.

 

Partiamo dalla pandemia. Che impatto ha avuto sulla distribuzione di viteria e bulloneria?

Intanto come associazione ci ha costretti a sopperire all’impossibilità di continuare a confrontarci direttamente nelle varie riunioni ricorrendo a delle videoconferenze che ci sono servite per avere indicazioni su come proseguire i servizi di fornitura. La scelta del termine “proseguire” non è casuale e dipende dal fatto che la maggior parte delle nostre aziende associate si è trovata nella condizione di dover mantenere aperte le attività per assicurare le forniture ai settori individuati come sensibili. Questo non significa, però, che non abbiano subito un lockdown a livello di fatturato e di marginalità. I riscontri avuti dai nostri associati ci portano a ritenere che il settore sia arretrato ai livelli di fatturato di diversi anni fa con una rettifica importante nei turnover e anche delle marginalità. Il dato positivo è che si registra una ripresa, anche se a macchia di leopardo. Alcune filiere di produzione sono tornate ai livelli pre Covid, su altre – ad esempio l’automotive - i fatturati continuano a registrare un calo importante, anche del -30 o - 40%. Nel mondo auto la somma delle perdite di fatturato causate dal Covid con i cali a due cifre registrati negli ultimi due anni ha portato a una rettifica importante del mercato. Da vicepresidente Efda non posso fare a meno di rilevare con rammarico che le nostre aziende hanno pagato un caro prezzo al lockdown sul fronte dell’export. Le rilevanti differenze di velocità tra i diversi Paesi europei hanno danneggiato notevolmente il sistema italiano a tutto vantaggio dei suoi competitor europei. Già prima del Covid eravamo gli ultimi del gruppo, oggi il nostro distanziamento è addirittura aumentato. Recuperare le posizioni perse sarà difficile. Tanto più che condividiamo questa sorte con i nostri clienti. A quanto sopra, aggiungerei anche i pesantissimi costi che ogni impresa ha dovuto sostenere e sta sostenendo, per garantire la sicurezza dei propri collaboratori.

 

In Italia pesa anche il calo della produzione testimoniato dal massiccio ricorso alla cassa integrazione…

Le interferenze in questo senso sono amplissime. Dobbiamo ad esempio ammettere che per un venditore cercare di concludere importanti contratti di fornitura in smart working è indubbiamente penalizzante, perché è costretto a rinunciare agli audit, alle prove macchine che, invece, sono fondamentali. A quanto mi risulta, dopo il blocco della quarantena, queste contrattualistiche, sono sì ripartite, ma in modo estremamente rallentato rispetto a prima. Le cito un’altra situazione che considero emblematica. La maggior parte dei nostri associati ha una rete di agenti e rappresentanti che visita regolarmente i clienti per raccogliere dai loro magazzini le parti mancanti in modo da trasformarle in ordini. Ebbene, questo non è avvenuto. E così oggi stiamo scontando le mancate proposte di vendita del periodo del Covid. La linea di tendenza è quella di una sopportazione della situazione resa possibile dal fatto che, per fortuna, le nostre aziende associate sono di comprovata solidità a livello storico.

 

A quanto vi risulta queste aziende stanno valutando anche dei cambiamenti del modello di business?

Per il nostro settore il 2019 si era chiuso con bilanci in leggero calo o al più in linea con gli anni precedenti. Dopo 10 anni di crescita costante il mercato aveva bisogno di rettificare un po’ le posizioni. Il Covid si è inserito in un percorso che era già in atto. Sono anche convinto che nel nostro settore non ci sono le condizioni per un radicale cambiamento nell’approccio alla vendita. Come ho avuto modo di osservare in diverse occasioni, il nostro è un mercato “Glocal”. Con questo alludo al fatto che lato acquisti deve operare in ambito GLObale, per ottenere le miglior quotazioni disponibili sul mercato mondiale, mentre, lato vendite, i suoi riferimenti sono LOCALi, tramite connessioni o punti vendita radicati nel tessuto specifico dei mercati di vicinanza. E questo è vero per il mercato italiano e anche per quello europeo. Nel confronto tra i due canali a monte ed a valle del nostro, dal mio punto di vista, il Covid ha fatto danni ingenti nelle vendite ma, conseguentemente anche negli acquisti e nelle public relations. L’impossibilità di muoversi ha di fatto bloccato ogni attività di ricerca e sviluppo finalizzata a individuare nuovi fornitori.

 

I vostri soci hanno avuto anche difficoltà ad approvvigionarsi?

Una vera e propria carenza di prodotto non c’è mai stata. In primo luogo tra il lockdown cinese e il nostro c’è stato un intervallo temporale importante. Inoltre, stante l’andamento del mercato del 2019, a inizio anno i nostri magazzini erano in genere pieni di prodotto. Questo ci ha consentito di superare il periodo Covid sfruttando le giacenze di stock. In caso di ristagno economico è normale che si tenda a cercare di monetizzare quello che si ha in casa e a fare riduzione delle scorte. Il fatto che i prezzi sono rimasti sostanzialmente stabili sta a dimostrare che questo è quanto è avvenuto.

 

In apertura accennava a un impatto della pandemia sull’attività dell’associazione. Ce ne vuole parlare in modo più dettagliato?

L’associazione si occupa, tra l’altro, anche della formazione dei collaboratori dei soci e della gestione dei contatti con le associazioni terze. Tutte queste attività hanno dovuto subire un rallentamento o, come nel caso dei corsi, hanno dovuto essere annullate. Abbiamo quindi colto l’occasione per cercare di portare a conclusione il progetto del Catalogo Tecnico che avevamo già allo studio. Nella maggior parte dei casi la figura del buyer non è assimilata a quella tecnica, per cui chi acquista le viti è semplicemente una figura che ha competenze su come si compra in generale un prodotto. Le viti, però, sono un prodotto molto tecnico per cui si fa fatica a maturare una conoscenza approfondita. Il nuovo Catalogo Tecnico nasce come prodotto “user friendly” capace di supportare i nostri clienti nella scelta del prodotto giusto al posto giusto. Contiamo di essere pronti a presentarlo nel giro di qualche mese e forse già entro fine anno. Lo metteremo a disposizione dei nostri associati in versione cartacea e digitale. Daremo loro la possibilità di modificare alcune parti, ma non il corpo centrale in modo da rafforzare l’identità dell’associazione come entità che raccoglie distributori di riconosciuta serietà e competenza. Dal nostro punto di vista il Catalogo è una forma di riconoscimento di un’eccellenza che, a prescindere dal Paese di provenienza dei prodotti trattati, è tutta italiana. Tutti i nostri associati si sono strutturati per verificare che il prodotto sia conforme e di alto livello qualitativo. E questo a salvaguardia della reputazione del loro brand ma anche dell’intero settore della distribuzione. Classificare come differenti il prodotto italiano e quello importato, spesso non ha senso. Bisogna infatti considerare che ci sono tantissime categorie di bullonerie che non vengono più prodotte in Italia perché il loro costo chilo è tanto basso da escludere ogni possibilità di margine per realtà industriali costrette a sopportare i costi fissi del “sistema Italia”. Prova ne sia che i produttori italiani da tempo si sono strutturati per produrre prevalentemente viti speciali, sulle quali l’impatto delle capacità tecniche specifiche produttive, permettono marginalità completamente diverse ed escludono a priori interferenze asiatiche: dove il prodotto ha una necessità di performance e di tecnica estreme, l’Italia continua a non avere concorrenti credibili!

 

In un contesto come questo anche la componente servizio è importante. Conferma?

Il distributore è inserito nel terziario proprio perché il servizio è insito nel suo modus operandi. Molti nostri associati, di fatto, stanno lavorando più sui servizi che sulla vendita. Cercano di individuare le situazioni logistiche sempre più evolute (automatismi, sinergie, magazzini kanban) per creare nuove opportunità di realizzare economie nelle varie fasi della filiera. Questo è un punto cruciale se si considera che in qualche caso il costo della confezione è più elevato del prodotto che contiene.

 

 

 

 

 



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